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Ormai è siccità in tutta Italia, ma invece di fare ricorso a sistemi alternativi di approvvigionamento idrico, in Italia si vietano, di fatto, i dissalatori dell'acqua marina. Molte regioni stanno dichiarando lo stato di emergenza idrica ed il razionamento dell'acqua. Logica vorrebbe che si faccia ricorso a tutti gli strumenti utili per evitare la desertificazione del suolo agricolo, l'inaridimento dei corsi d'acqua, lo svuotamento dei bacini. Per fare un esempio, se all'irrigazione dei campi della pianura padana si provvedesse con altri mezzi , si eviterebbe la risalita dell'acqua salmastra nel corso del Po, con danni ambientali molto gravi. Lo stesso si può dire per i laghi. Un'idea allo studio degli esperti è rafforzare la dissalazione dell'acqua di mare, che a costi relativamente contenuti assicura acqua potabile o per irrigazione in grandi quantità, come avviene in altri paesi (Israele e Spagna ad esempio) che vi ricorrono massicciamente. Per semplificare, un impianto di desalinizzazione ha un costo di circa 15 milioni e costi annui di gestione di 500mila euro, ed è in grado di produrre circa 2,5 milioni di metri cubi di acqua potabile all'anno. Ma, in contemporanea con l'esplodere dell'emergenza idrica, è stata pubblicata in G.U. n. 134 del 10/6/2022, la legge 17 maggio 2022, n. 60, recante “Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare”. La cosiddetta legge salvamare che si occupa tra le altre cose della desalinizzazione dell'acqua marina. La novità è che gli impianti di desalinizzazione destinati alla produzione di acqua per il consumo umano sono ammessi solo in casi eccezionali. Recita infatti l'articolo 12 della legge che sono ammissibili soltanto: a) in situazioni di comprovata carenza idrica e in mancanza di fonti idricopotabili alternative economicamente sostenibili; b) qualora sia dimostrato che siano stati effettuati gli opportuni interventi per ridurre significativamente le perdite della rete degli acquedotti e per la razionalizzazione dell'uso della risorsa idrica prevista dalla pianificazione di settore; c) nei casi in cui gli impianti siano previsti nei piani di settore in materia di acque e in particolare nel piano d'ambito anche sulla base di un'analisi costi benefici. Insomma un bello stop ai dissalatori di acqua marina, ribadito dal severissimo comma 1 dell'articolo: al fine di tutelare l'ambiente marino e costiero, tutti gli impianti di desalinizzazione sono sottoposti a preventiva valutazione di impatto ambientale, di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. E si specifica gli scarichi degli impianti di desalinizzazione sono autorizzati in conformità alla disciplina degli scarichi di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della transizione ecologica sono definiti, per gli scarichi di tali impianti, criteri specifici ad integrazione di quanto riportato nell'allegato 5 alla parte terza del citato decreto legislativo n. 152 del 2006. Per farla breve, le autorizzazioni non possono essere demandate come si è fatto finora alle regioni ma ad apposita commissione ministeriale per la concessione del Via. In pratica l'esplosione dei tempi burocratici. Insomma, le autorizzazioni necessarie sono paragonabili a quelle di una centrale nucleare e possono dar luogo a tempi doppi o tripli rispetto all'iter medio attuale. Si parla di tempi che vanno dai tre ai cinque anni se non di più. Non basta, la legge mette sotto la lente i possibili danni ambientali. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore, con decreto del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro della salute, sono definiti criteri di indirizzo nazionali sull'analisi dei rischi ambientali e sanitari correlati agli impianti di desalinizzazione nonchè le soglie di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale.
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